Ai fini del riconoscimento dell’esenzione IMU per l’abitazione principale la Consulta elimina la rilevanza dell’ubicazione dell’immobile ed espunge il requisito della coabitazione dell’intero nucleo familiare presso lo stesso immobile

Lo scorso 13 ottobre è stata pubblicata in G.U. la sentenza n. 209/2022 pronunciata dalla Consulta e avente ad oggetto il sindacato di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 2, quarto e quinto periodo, del D.L. n. 201/2011, come successivamente convertito, con modificazioni, nella L. n. 214/2011.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata con ordinanza del 22 novembre 2021, iscritta al n. 3 del reg. ord. 2022, della Commissione tributaria provinciale di Napoli ed era stata invero declinata solamente con riguardo al quinto periodo del comma 2 del predetto art. 13, con specifico riguardo all’omessa previsione dell’esenzione dall’Imposta Municipale Propria (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale/abituale del nucleo familiare, nel caso in cui uno dei suoi componenti – diverso dal “possessore” dell’immobile de quo – fosse stato residente ai fini anagrafici e avesse avuto la propria dimora abituale presso un immobile ubicato in altro comune.

La disposizione de qua – nella formulazione modificata dalla L. n. 147/2013, art. 1, co. 707 lett. b), che aveva introdotto il riferimento al “nucleo familiare” – stabiliva che “l’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali continuano ad applicarsi l’aliquota di cui al comma 7 e la detrazione di cui al comma 10. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

In buona sostanza, come peraltro sancito da granitica giurisprudenza di legittimità consolidatasi negli ultimi anni (v. ex multis Cass. civ. Sez. trib. 17.06.2021, n. 17408), per il riconoscimento dell’agevolazione fiscale in questione, salvo il caso di immobili siti nello stesso comune, era necessario che presso la stessa unità immobiliare tanto il possessore – fiscalmente inteso (i.e. proprietario o titolare di altro diritto reale) – quanto il suo (intero) nucleo familiare avessero contestualmente stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica.

Conseguentemente, in merito alla fattispecie di coniugi residenti in comuni diversi, la Suprema Corte aveva recisamente escluso che l’immobile di uno dei coniugi potesse ritenersi “abitazione principale” ai fini IMU qualora l’altro coniuge avesse avuto la residenza e la dimora abituale in altro comune, a meno che gli stessi non fossero stati legalmente separati.

Ne derivava che nel caso in cui due coniugi, per ipotesi uno possessore di un immobile sito in un comune diverso da quello ove era ubicato l’immobile dell’altro coniuge, avessero fissato la propria residenza anagrafica ovvero anche solamente la propria dimora abituale (es. per ragioni lavorative) presso i rispettivi immobili, vi sarebbe stato il disconoscimento dell’esenzione IMU per l’abitazione principale in capo ad entrambi.

Nonostante l’inequivocabile e rigorosa posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità nell’esercizio della propria attività nomofilattica, negli ultimi anni era proliferato un copioso contenzioso, anche alla luce dell’orientamento che era stato originariamente assunto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nella circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012, il quale comunque riconosceva la spettanza dell’agevolazione fiscale de qua in caso di residenza e dimora di un componente del nucleo familiare in un comune diverso.

Il quadro normativo e giurisprudenziale è stato in toto sovvertito dalla prefata sentenza della Consulta.

Infatti, al di là dell’accoglimento della censura mossa dalla C.T.P. di Napoli in punto di irragionevole, ingiustificata, contraddittoria e incoerente disparità di trattamento – a parità di situazione sostanziale – tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso comune e quello il cui nucleo familiare risieda e dimori in distinti immobili ubicati in comuni diversi (tale da determinare l’incompatibilità tra l’art. 3 Cost. e l’art. 13, co. 2, quinto periodo, del D.L. n. 201/2011), la Corte Costituzionale si è invero spinta oltre il richiesto intervento addittivo volto sostanzialmente ad espungere dalla norma il dato geografico dell’ubicazione dell’immobile posseduto dal contribuente.

A tale proposito, la Consulta ha altresì sollevato innanzi a sé – con diversa ordinanza n. 50 del reg. ord. 2022 – questione di legittimità costituzionale del quarto periodo del prefato comma 2 dell’art. 13, nella parte in cui, ai fini del riconoscimento dell’esenzione IMU de qua, definisce quale “abitazione principale” quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del nucleo familiare di quest’ultimo, non tenendo conto di effettive esigenze che abbiano potuto condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali e in ogni caso generando un trattamento diverso del nucleo familiare – tale è da ritenersi il rapporto sorto per effetto del matrimonio o di un’unione civile – rispetto sia alle persone singole che alle coppie di mero fatto.

La Corte Costituzionale muove dall’assunto che nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire un’unione civile, perché verrebbe dato rilievo ad un elemento soggettivo tendenzialmente discriminatorio; per l’effetto ha ritenuto il riferimento al nucleo familiare – ai fini dell’individuazione dell’immobile destinatario dell’agevolazione fiscale –, così come interpretato dal diritto vivente, incompatibile con diverse disposizioni della carta costituzionale (artt. 3, 31 e 53).

Infine, è bene evidenziare che la Consulta ha precisato che la sentenza non potrà essere utilizzata per legittimare comportamenti “elusivi”: qualora le coppie unite in matrimonio o in unione civile abbiano la stessa dimora abituale e abbiano immobili diversi, l’esenzione IMU non potrà estendersi alle c.d. “seconde case”.

Per completezza si evidenzia che la declaratoria di illegittimità costituzionale ha inciso in via consequenziale anche sulla definizione di “abitazione principale” di cui all’art. 1, comma 741, lett. b), secondo periodo, della Legge di Bilancio 2020 (c.d. disciplina della “nuova IMU”), che contemplava anch’essa il requisito del “nucleo familiare”, oggi definitivamente espunto.

La sopramenzionata pronuncia della Consulta apre ora la strada alle richieste di rimborso dell’IMU – con termine decadenziale di 5 anni – da parte di chi aveva versato (indebitamente) l’IMU in ragione del fatto che il proprio coniuge, in un dato periodo di imposta, aveva avuto la residenza anagrafica ovvero la dimora abituale presso un immobile sito in un comune diverso.

Tale facoltà, tuttavia, potrebbe essere preclusa a coloro che, versando nella situazione sopra descritta, abbiano pagato l’IMU in conseguenza della notifica di un avviso di accertamento divenuto definitivo.

In ogni caso, la domanda di rimborso dovrà essere accompagnata dall’allegazione e dalla prova delle circostanze atte a dimostrare la sussistenza dei due requisiti – residenza anagrafica e dimora abituale del (solo) possessore -, e dalla relativa prova, trattandosi di richiesta di rimborso che si basa sul riconoscimento di un’agevolazione fiscale, in relazione alla quale l’onere della prova ricade sul contribuente.

 

 

 

Contributo a cura dell’avv. Matteo Praturlon, Coordinatore del Dipartimento per la riforma del processo tributario e fiscalità

 

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