Signor Presidente della Corte d’Appello,
Signor Procuratore Generale della Repubblica,
Sig. Presidente del Tribunale,
Signori Giudici e Signori Giudici Onorari,
Signori Presidenti dei Consigli degli Ordini degli Avvocati del Distretto,
Autorità religiose, civili e militari,
Colleghe e Colleghi,
Istituzioni e cittadini
(verificare ed integrare sulla base delle presenze effettive per il Governo, il Ministero della Giustizia, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Prefettura, la Regione, il Comune, le autorità religiose e le istituzioni in genere)
Porgo a Voi tutti il saluto dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati.
Albert Einstein sosteneva che “la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”. Se questo è vero, l’anno giudiziario che sta per iniziare ci pone di fronte ad una grande prova di intelligenza: sarà, infatti, l’anno del cambiamento verso quello che dovrebbe essere un sistema giudiziario stabilmente efficiente e realmente sostenibile per le future generazioni, quelle che AIGA rappresenta.
Il cambiamento è già realtà per tutti i Colleghi penalisti, magistrati ed operatori della giustizia che, dal primo gennaio, si stanno misurando con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150/2022, la Riforma Cartabia, e con le importanti novità di diritto processuale e sostanziale da questo introdotte.
Riduzione dei tempi di durata del processo penale, una strutturale revisione del sistema sanzionatorio, l’ammodernamento ed efficientamento dell’apparato amministrativo anche attraverso l’introduzione del processo penale telematico (seppur in assenza di un’adeguata disciplina transitoria che regoli la sua applicazione): obiettivi virtuosi, lodevoli e del tutto condivisibili, ma che si scontrano con l’attuale incapacità tecnico-strutturale degli Uffici Giudiziari del nostro Paese a porre in atto le misure che il raggiungimento di questi obiettivi dovrebbero garantire.
In questo forte conflitto tra principi ideali e realtà dei fatti, chi ne ha la peggio sono le garanzie difensive ed i diritti dei cittadini, che rischiano di essere indebitamente compressi fino a che le risorse umane ed economiche dei nostri uffici giudiziari non verranno adeguatamente implementate.
Tale rinforzo organico e strutturale è necessario sia per ciò che concerne la fase delle indagini preliminari – la cui durata non potrà essere ragionevolmente ridotta senza un aumento del numero di magistrati e funzionari – sia per ciò che attiene alle udienze filtro predibattimentali – la cui celebrazione prevede oggi un diverso magistrato persona fisica – sia in relazione all’estensione degli strumenti alternativi al processo, quali l’ampliato istituto della sospensione del processo con messa alla prova, che necessitano di un importante aumento dell’organico degli Uffici di esecuzione penale esterna.
Insomma, se fossimo Professori a colloquio con il legislatore (genitore) della Riforma, potremmo dire che la Riforma (il figlio) è intelligente ma non si applica.
Il nostro primo auspicio è, pertanto, che l’attuazione della nuova normativa si accompagni ad interventi correttivi che vedano finalmente coinvolta l’Avvocatura, relegata ai margini nella fase dell’elaborazione di una riforma che, non casualmente, pare carente proprio nell’attuazione pratica del diritto di difesa e della tutela dei diritti.
A titolo esemplificativo tali interventi correttivi dovranno riguardare l’introdotta necessità di un nuovo specifico mandato per le impugnazioni – allo stesso tempo causa ed effetto di un pregiudizio nei confronti della condotta professionale di noi avvocati – nonché il riferimento al criterio della “ragionevole previsione di condanna” quale presupposto per il prosieguo dell’azione penale, formula, anche lessicalmente contrastante con la presunzione di non colpevolezza proclamata dall’articolo 27 della Costituzione.
Altrettanto bisognosa di correttivi è la Riforma del processo civile che nel corso del prossimo anno entrerà pienamente in vigore.
Una riforma che si ispira al superato processo societario, come noto abrogato per la sua inefficienza e per la sua farraginosità: non ci si dimentichi della sovrapposizione di termini, delle incertezze e della proliferazione di adempimenti che tale modello processuale generava in tutti i casi in cui il giudizio interessava più di due parti, effetti collaterali non adeguatamente affrontati dal legislatore che contrastano apertamente con quella semplificazione ed efficienza dello strumento processuale perseguita dalla riforma.
Una riforma segnata da scelte che destano preoccupazione, in quanto idonee a pregiudicare l’effettività del diritto di difesa delle parti: prima fra tutte la scelta di lasciare all’assoluta discrezionalità del Giudice – contrariamente a quanto suggerito dalla Commissione Luiso – la trattazione scritta delle udienze, compresa la prima, opzione in evidente contrasto con l’obbligo di comparizione personale delle parti alla prima udienza introdotto dal nuovo art. 183 c.p.c..
Ugualmente non condivisibili le scelte di assegnare alle parti termini sfalsati, sia per la modifica della domanda che per la formulazione delle istanze istruttorie, con ingiustificato vantaggio della parte convenuta e, soprattutto, quella di elevare la competenza per valore del Giudice di Pace fin da subito, sebbene gli uffici di tale autorità giurisdizionale scontino una gravissima carenza di personale, sia giudicante che amministrativo, e non facciano uso del processo telematico.
Ancora una volta dobbiamo ribadire, pertanto, che riforme efficaci debbano andare oltre il mito del rito: rendere più efficiente il processo significa oggi potenziarne l’infrastruttura senza alterarne i principi fondanti, primi fra tutti il contraddittorio orale, il confronto immediato tra giudice e parti e la tutela della persona, cardini ai quali il processo deve rimanere ben ancorato.
Ciò a maggior ragione se si considera che la cronica carenza di organico dei nostri uffici giudiziari e gli abnormi tempi di definizione dei processi civili e penali sono dovuti anche ad importanti problemi organizzativi agevolmente superabili, almeno due dei quali meritano specifica menzione.
Il primo: l’aumento o quantomeno la stabilizzazione del numero dei magistrati ordinari non è adeguatamente garantito dal sistema che attualmente regola la loro formazione ed assunzione: i concorsi più recentemente indetti continuano ad individuare candidati idonei in percentuali tra il 50% ed il 75% del numero di posti banditi a concorso e dal superamento dell’esame all’immissione nel ruolo del nuovo magistrato decorrono anni. Si tratta, dunque, di un sistema che attualmente consente, in tempi elevatissimi, la copertura solo parziale del fabbisogno dell’apparato giudiziario.
Il secondo: i numerosi trasferimenti dei magistrati in corso di causa ed i conseguenti trasferimenti dei procedimenti ad altro giudice comportano enormi dilatazioni dei tempi della decisione dei giudizi.
A questo riguardo AIGA ha già elaborato ed intende presentare una proposta di disegno di legge che affronta il problema sia in ambito civile che in ambito penale. In ambito civile chiediamo l’introduzione di un “periodo cuscinetto” prima dell’effettivo trasferimento del magistrato, durante il quale non vengano a questi assegnate nuove cause e possa, quindi, decidere tutti i giudizi giunti nella fase della precisazione delle conclusioni. In ambito penale, chiediamo che il mutamento del Giudice sia notificato ai difensori entro 60 giorni prima dell’udienza e che la difesa possa presentare l’istanza di rinnovazione del dibattimento fuori udienza, a mezzo pec, nella cancelleria del giudice che procede, almeno 30 giorni prima della stessa, così da evitare le richieste di rinnovazione meramente dilatorie e, soprattutto, di non porre, di fatto, il Giudice dinanzi alla prospettiva di dover scegliere tra le ragioni difensive e il contenimento della durata del processo.
Come detto, tuttavia, interventi normativi di tale tipologia non potranno avere un impatto sostanziale sull’efficienza dell’amministrazione giudiziaria senza contestuali interventi di potenziamento delle risorse umane che ne costituiscono il motore e dell’infrastruttura a servizio di tali risorse.
Prima tra tali infrastrutture è, per importanza, quella penitenziaria: la questione carceraria obbliga tutti noi ad una profonda riflessione. La dignità umana non può e non deve recedere, MAI, di fronte agli sterili stereotipi giustizialisti che ci dividono e ci allontanano da chi è al di là del muro di un carcere.
Un muro che – ancora oggi – pretendiamo divida i giusti dai cattivi e che, invece, non fa altro che dividere la società libera dai suoi esiliati, abbandonandoli in una spirale di oblio e disperazione.
È proprio per insinuarsi nelle crepe di questo muro che, a marzo 2022, AIGA ha istituito al suo interno l’ONAC, l’Osservatorio Nazionale Aiga Carceri, un organismo che, grazie alle sue 130 sedi in tutto il territorio italiano, si propone di monitorare continuativamente lo stato degli istituti penitenziari e di sensibilizzare l’opinione pubblica ed il legislatore sulla necessità di avviare un serio dibattito sulla riforma dell’ordinamento penitenziario.
Lo scorso 13 aprile, grazie alla preziosa collaborazione del Ministero e del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, i referenti locali dell’ONAC hanno potuto visitare 19 dei maggiori istituti penitenziari italiani ed hanno dovuto constatare che la funzione rieducativa della pena affermata dalla nostra Costituzione rimane ancora un miraggio.
L’anno appena trascorso ci consegna, infatti, un dato allarmante: 84 suicidi in carcere. Un suicidio ogni 5 giorni. Il più alto dato mai registrato, soprattutto se messo in relazione con l’attuale diminuito numero dei detenuti.
Non può, quindi, più essere procrastinata una coraggiosa riforma dell’ordinamento penitenziario che assicuri ai detenuti ed al personale dell’amministrazione penitenziaria quel grado di civiltà e dignità auspicato dal Presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento e che finalmente codifichi processi di riabilitazione e di assistenza psicologica a beneficio dei detenuti.
Non può più essere procrastinata la creazione di un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani, ancora non finalizzata nonostante i due disegni di legge presentati sul punto.
Non può più essere procrastinato un intervento sul numero e l’organizzazione degli operatori penitenziari, che costantemente denunciano lo stato di abbandono, difficoltà e stress emotivo in cui quotidianamente lavorano.
Allo stesso impegno di riforma, culturale prima ancora che normativa, deve essere chiamata la magistratura: nell’attuale situazione delle carceri l’introduzione delle misure alternative alla detenzione ha rappresentato un importante strumento per il reinserimento sociale del detenuto. Ma questo strumento non deve essere vanificato nelle aule dei Tribunali, in cui dovrebbe SEMPRE trovare applicazione il principio normativo – ed ancor prima umano – per cui la pena deve essere necessariamente e concretamente rapportata alle condizioni, inclinazioni e capacità del detenuto.
Deve, infine, mantenersi alta la tensione alla riduzione degli errori giudiziari, fenomeno tutt’altro che trascurabile se si pone a mente che, secondo la Relazione annuale presentata dal Ministero della Giustizia, il 2021 – si è chiuso con 565 casi di ingiusta detenzione e che, pertanto, ogni giorno, in Italia, almeno una persona è incarcerata ingiustamente.
Questa è la strada giusta perché i cittadini, nel nome dei quali la giustizia è amministrata, guardino nuovamente con fiducia alla giustizia italiana.
Ma recuperare la fiducia dei cittadini nel sistema giustizia significa anche consegnare una rinnovata centralità alla figura dell’avvocato, che i diritti dei cittadini rappresenta e difende.
Per questo siamo convinti che la legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario, frutto di un ampio dibattito politico, vada nella giusta direzione.
L’effettiva partecipazione della classe forense ai consigli giudiziari, la più rigida regolamentazione del distacco dei magistrati presso l’esecutivo, l’inserimento di uno specifico illecito disciplinare a sanzionare la violazione dei divieti concernenti i rapporti tra organi requirenti ed organi di informazione, la valutazione del lavoro dei giudici a livello individuale e non a campione, sono le uniche opzioni di riforma in grado di restituire credibilità, prestigio e sostenibilità alla giurisdizione ed al sistema giudiziario di cui Avvocatura e Magistratura sono protagoniste.
Ma una rinnovata centralità della figura dell’avvocato deve passare da un rafforzamento della sua funzione e delle sue prerogative.
Non possiamo, a tal riguardo, accettare che l’attività professionale di consulenza ed assistenza legale stragiudiziale sia ancora permessa a società paralegali che, libere da qualsiasi obbligo deontologico e professionale, continuano a fare della nostra professione un mero business che nulla ha a che vedere con l’interesse pubblico alla tutela dei diritti, riducendo ad un mero dato stilistico la portata degli articoli 2 e 24 della Costituzione e dell’articolo 2 della Legge Professionale Forense.
Non possiamo accettare che la recente riforma in materia di giustizia e processo tributario non abbia riservato all’avvocato la difesa dei diritti del contribuente in sede giurisdizionale né che, in aperta violazione del principio di terzietà ed indipendenza del Giudice, la magistratura tributaria sia ancora alle dipendenze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di fatto parte del giudizio tributario.
Non possiamo parimenti accettare che il lavoro e la dignità dell’avvocato non trovino riconoscimento in un compenso equo e certo anche nei tempi: ciò vale soprattutto per i Colleghi che prestano la propria attività a favore delle fasce più deboli, quelle che hanno accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Preoccupano, a questo riguardo, sia l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9727/2022, secondo cui la mancata comunicazione delle variazioni di reddito comporta la revoca del beneficio dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a prescindere dalla circostanza che la variazione stessa determini o meno il superamento del limite reddituale previsto dalla legge, sia l’ordinanza n. 16799/2022, secondo cui il difensore d’ufficio, per aver diritto al rimborso dei compensi per l’attività prestata, deve dimostrare al giudice di aver esperito l’intera procedura esecutiva volta alla riscossione dell’onorario, fino al ricorso alla forza pubblica. Si tratta di orientamenti che aggravano notevolmente la posizione dell’Avvocato e che metteranno a serio rischio la possibilità di tanti Colleghi di difendere i soggetti più deboli, ossia chi ne avrebbe più bisogno.
Occorre, pertanto, una riforma organica dell’istituto del gratuito patrocinio che superi i gravosi principi sopra riportati e che, mediante la condivisione di un protocollo unico tra Avvocatura e Magistratura, ne uniformi e velocizzi la prassi in ambito nazionale, favorendo un più ampio impiego delle autocertificazioni e l’integrale digitalizzazione del processo di liquidazione su una piattaforma unica.
Queste sono le riforme che AIGA ritiene assolutamente prioritarie.
Queste sono le misure da adottare per dimostrare che, quando necessario, il sistema giudiziario è in grado di cambiare.
Questi i cambiamenti che ci diranno se, secondo quanto ci suggerisce Einstein, il nostro sistema giudiziario sia effettivamente intelligente.