Le criticità transitorie (?) della Riforma del Processo Penale

Per gli Avvocati Penalisti, quest’anno, il primo gennaio non ha semplicemente coinciso con l’inizio del nuovo anno, il 2023, bensì ha rappresentato la fatidica data dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150/2022, meglio noto come Riforma Cartabia.

Una normativa, quella contenuta nel richiamato provvedimento legislativo, che introduce novità a dir poco importanti e corpose tanto per il processo penale, quanto per rilevanti aspetti del diritto penale sostanziale.

Tale Riforma, che com’è noto sarebbe dovuta già entrare in vigore l’1 novembre 2022, ha quali primari obiettivi la riduzione dei tempi di durata del processo penale, una strutturale revisione del sistema sanzionatorio penale, anche per il tramite del ricorso ad una massiccia giustizia riparativa, oltre che un complessivo ammodernamento ed efficientamento, con l’introduzione del processo penale telematico quale regola generale.

Ebbene, nelle more tra l’1 novembre 2022 e l’1 gennaio 2023, si è resa necessaria l’introduzione di disposizioni transitorie che consentissero, o almeno tentassero, di dipanare talune delle criticità applicative emerse ad una prima lettura del testo di Riforma.

In tal senso, il 30 dicembre 2022, praticamente sul gong, in sede di conversione del d.l. n. 162/22 sono state inserite alcune disposizioni transitorie idonee ad incidere sull’applicazione di alcuni aspetti contenuti nell’ampia Riforma Processualpenalistica.

Tale intervento di ricamo, invero, non è evidentemente riuscito a porre rimedio alle criticità strutturali della Riforma, già ampiamente evidenziate da più parti dell’Accademia, dell’Avvocatura e finanche della Magistratura, e non ha altresì colto nel segno neppure con riferimento a quelli aspetti che nell’immediata prima applicazione della nuova normativa necessitavano, a parere di chi scrive, di maggiori certezze e di più ampie garanzie.

Le disposizioni transitorie, in sostanza, da un lato finiscono per tramutarsi in mere prese d’atto dell’attuale inefficienza tecnico-strutturale degli Uffici Giudiziari del nostro Paese, e dall’altro rischiano concretamente di ledere le garanzie difensive ed i diritti delle persone offese, in ragione del “supremo” interesse della macchina amministrativa prendendo atto, di fatto, delle carenze organiche di cui sono vittima i Tribunali, tanto in termini di personale amministrativo quanto con riferimento al numero di Magistrati, cosicché da individuare il cittadino quale unica e reale vittima sacrificale.

Con buona pace di quella frase che, scalfita nella Carta Costituzionale, campeggia in qualsivoglia Aula di Tribunale tale per cui “La Giustizia è Amministrata nel nome del Popolo”.

Ed invero, a tale ultimo proposito, passando ad analizzare alcune delle più evidenti criticità riscontrabili in sede di prima attuazione della Riforma, vi è certamente la normativa inerente le disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, così come contenute nella nuova formulazione dell’articolo 85.

È noto, anzitutto, che con la Riforma Cartabia sia stata modificata la procedibilità a talune ipotesi di reato, con la previsione della punibilità a querela della persona offesa in luogo dell’avvio d’ufficio del procedimento penale.

Ebbene, tale modifica, evidentemente, comporta quale diretta conseguenza la necessità, per la persona offesa di un reato la cui procedibilità ha subito una revisione, di doversi attivare per proporre regolare atto di querela e consentire pertanto la prosecuzione del giudizio nell’ambito del quale la stessa risulta essere vittima di un danno.

Ebbene, l’articolo 85, nella sua originaria formulazione, prevedeva l’onere per il Giudice dinanzi al quale il processo si stava celebrando, o per il Pubblico Ministero laddove si fosse ancora in fase di indagini, di informare la persona offesa del mutato cambio di procedibilità notiziandola pertanto della facoltà di esercitare il diritto di querela.

La persona offesa, a tal punto, avrebbe avuto tre mesi dalla predetta notifica per avanzare, eventualmente, istanza di punizione.

Tale scelta legislativa, evidentemente, risultava certamente idonea a garantire i diritti spettanti alla persona offesa, a meglio tutelare il bene giuridico offeso da quel determinato reato ed al contempo a non disperdere energie processuali profuse nell’ambito della vicenda processuale in corso.

L’articolo 85, invece, così come modificato dal d.l. n. 162/2022, elimina l’obbligo di notiziare la persona offesa del mutato regime di procedibilità, concedendo tre mesi, decorrenti dall’entrata in vigore della Riforma Cartabia, e dunque dall’1 gennaio 2023, per esercitare il proprio diritto di querela.

Il legislatore delle disposizioni transitorie, dunque, decide di sacrificare i diritti delle vittime del reato la cui procedibilità ha subito una modifica, oltre ad accollarsi il rischio di veder defunti una miriade di processi già in fase processuale avanzata con conseguente spreco di risorse fino a quel momento investite, in luogo di una sola ragione, come emerge nitidamente dalla relazione dell’Ufficio Legislativo al d.l. 162/22, per evitare “un aggravio di attività per gli uffici giudiziari”.

Ci sembra, una scelta alquanto discutibile.

Vero è che la precedente formulazione della norma imponeva la necessità di un cospicuo numero di notificazioni per informare la persona offesa del mutato regime di procedibilità, ma pur vero che in un bilanciamento di interessi costituzionalmente orientato tale opzione appariva maggiormente idonea a garantire il diritto della persona offesa ad agire in giudizio o, ancor meglio, a proseguire il giudizio.

Sacrificare il diritto della persona offesa a veder perseguito un delitto commesso a suo danno, in ragione di una evidente disfunzione strutturale degli Uffici Giudiziari, in termini di risorse umane, appare una scelta legislativa particolarmente penalizzante per le vittime del reato.

Il legislatore del d.l. n. 162/22, dunque, impone a tutte le persone offese dei reati con mutato regime di procedibilità di conoscere i dettagli tecnici della rinnovata normativa penale e di attivarsi, pertanto, entro il 31 marzo 2023, ad esercitare il proprio diritto di querela a pena di veder caducato il procedimento penale attivatosi in precedenza, d’ufficio, in ragione del reato subito.

E non pare affatto sufficiente, a “sanare” tale potenziale lesione dei diritti delle persone offese dei summenzionati reati, il generico richiamo all’ “ignorantia legis non excusat”, laddove non vi è chi non veda come sia da ritenersi del tutto poco ragionevole e privo di buon senso ritenere che colui il quale abbia subito un reato, magari anche alcuni anni orsono, conosca precisamente la qualificazione giuridica di quel determinato illecito e sia pertanto in grado di cogliere il mutato regime di procedibilità attivandosi diligentemente in tal senso entro tre mesi dall’entrata in vigore della Riforma.

Siamo, dunque, dinanzi ad una potenziale e, forse finanche colposamente non voluta, cesoia processuale.

Ed ancora, in ultimo, sotto tale profilo non va sottovalutato affatto l’onere, o anche meglio il dovere, al quale è chiamato l’eventuale difensore della persona offesa nell’ambito di un procedimento già avviato, avente ad oggetto un reato la cui procedibilità sia mutata.

Il difensore nominato, difatti, onde evitare di incorrere in ipotizzabili responsabilità professionali oltre che deontologiche, sarà tenuto a rivedere tutti i procedimenti ove assiste la persona offesa, controllare il reato già contestato laddove sia già pendente il giudizio o il reato ipotizzabile laddove il procedimento si trovi in fase di indagini, verificare se rientra tra quelli per i quali il regime di procedibilità ha subito una modifica ed in tal caso avvisare il proprio assistito della facoltà di proporre querela.

Tutto ciò, a pena di estinzione del reato, e del conseguente grave sacrificio della persona offesa a veder punito l’autore del reato commesso a suo danno, dovrà avvenire entro e non oltre tre mesi decorrenti dall’1 gennaio 2023.

Risulta evidente, dunque, come il legislatore abbia volutamente evitato l’aggravio per gli Uffici Giudiziari, ponendo poca attenzione, per così dire, sui pesanti oneri imposti all’Avvocato con la nuova formulazione dell’articolo 85 e, al contempo, sul grave pregiudizio che si rischia di cagionare alla persona offesa vittima di un reato il cui regime di procedibilità sia stato modificato dalla Riforma Cartabia.

Sul punto, dunque, si poteva e si doveva certamente fare meglio.

Certamente meglio, inoltre, si sarebbe potuto fare in materia di deposito dell’atto di impugnazione.

Evidenti, difatti, sono le criticità emergenti da una prima lettura delle disposizioni concernenti i profili di inammissibilità dell’atto di gravame, correlate a quanto stabilito dalle disposizioni transitorie introdotte in sede di conversione del d.l. n. 162/2022.

Anche in materia di impugnazione, l’intento, nemmeno velatamente celato della Riforma, è quello di ridurre sensibilmente il carico dei procedimenti di appello e di cassazione, prevedendo una duplice tipologia di preclusioni, sanzionate entrambe con l’inammissibilità dell’atto di gravame.

Al fine di innalzare il livello qualitativo delle impugnazioni e del relativo giudizio in chiave di efficienza, la Riforma Cartabia ha apportato significative modifiche in ordine alla forma ed alla presentazione dell’impugnazione, oltre che ai termini.

È necessario, in tale sede, soffermarsi sul primo di questi aspetti.

Assume, sul punto, primaria rilevanza l’art. 581, co. 1 bis, c.p.p., ove si stabilisce la causa di inammissibilità dell’atto di impugnazione per mancanza di specificità dei motivi, qualora non vengano enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici alla motivazione del provvedimento impugnato. Tale enunciazione critica deve svilupparsi per ogni richiesta contenuta nell’atto di impugnazione e deve riferirsi alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato.

In ottica difensiva tale disposizione non sembra comportare particolari difficoltà, posto che il legislatore ha infine dato voce normativa all’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8825 del 25 febbraio 2017, fermo nel sanzionare con l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di specificità dei motivi quel gravame in cui non risultino esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

Ciò che appare, invece, aspramente criticabile, perché lesivo dei principi costituzionali di eguaglianza, effettività del diritto di difesa e del giusto processo, è la scelta operata dalla Riforma laddove prevede, quale esplicita condizione di ammissibilità dell’impugnazione, l’allegazione, ad opera del difensore, della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione (art. 581, co. 1 ter, c.p.p.), laddove l’imputato sia stato giudicato in presenza ovvero dello specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la predetta dichiarazione o elezione di domicilio, laddove l’imputato sia stato giudicato in assenza (art. 581, co. 1 quater, c.p.p.).

Non v’è chi non veda come tale disposizione, privi, di fatto, il difensore d’ufficio dell’imputato giudicato in assenza di depositare la dichiarazione di impugnazione, così come anche il potere di impugnazione del difensore di fiducia risulterebbe neutralizzato laddove non fosse in condizione di mettersi in contatto con l’imputato in pendenza dei termini per impugnare, specie nell’ipotesi di pronuncia della sentenza di condanna con motivazione contestuale (quid iuris laddove un soggetto si trovasse, per esempio, all’estero e non fosse in grado di fare rientro in Italia nei quindici giorni utili per il deposito dell’impugnazione?).

Poco più di un palliativo appare la previsione che prevede l’aumento di quindici giorni dei termini per l’impugnazione previsti dall’art. 585, co. 1, c.p.p. nell’ipotesi di impugnazione del difensore dell’imputato assente.

Nonostante le evidenti difficoltà pratiche le disposizioni sopra citate risultano operative a far data dall’1 gennaio 2023, considerato che la disciplina transitoria di cui all’art. 94, così come contenuta nel d.l. n. 160/2022, prevede soltanto la proroga del regime di applicabilità delle modalità di trattazione cartolare “emergenziale” del giudizio di appello e di cassazione.

I difensori dovranno, pertanto, mettersi immediatamente in contatto con i propri assistiti (possibilmente prima del deposito della sentenza) per renderli edotti dei nuovi adempimenti stabiliti a pena di inammissibilità.

Al contempo, assumerà una diversa pregnanza essere giudicati in assenza ovvero in presenza, posto che solo in quest’ultimo caso non sarà necessario rilasciare al difensore un nuovo, specifico mandato ad impugnare (ma ciò non esimerà l’interessato dal rendere una nuova dichiarazione od elezione di domicilio). Per questi motivi sarà richiesto ai difensori, sin dal primo contatto con i rispettivi assistiti, di fornire queste informazioni, nell’ottica di un futuro atto di gravame da depositare, essendo definitivamente tramontata l’epoca dell’onnicomprensività dei poteri riconosciuti al difensore con il conferimento del primo atto di nomina.

La disciplina transitoria, infine, uniformandosi a quel processo di completa digitalizzazione verso cui è definitivamente avviato il processo penale, fa salva, all’art. 87-bis, co. 4, la possibilità di depositare l’atto di impugnazione mediante posta elettronica certificata dall’indirizzo di posta certificata del difensore a quello dell’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.

In questa sede, però, è appena il caso di evidenziare che a distanza di tre anni dall’entrata in vigore del d.l. n. 137/2020, si registrano ancora gravi disfunzioni sotto il profilo dell’indicazione degli indirizzi P.e.c. presso i quali depositare l’atto di impugnazione.

A fronte, infatti, di sedi più circoscritte cui il D.G.S.I.A. ha attribuito un solo indirizzo dedicato al deposito telematico degli atti penali, residuano Uffici cui sono stati dedicati plurimi indirizzi di posta certificata (si pensi a realtà quali Milano, Torino, Roma, Napoli, Bari, Palermo), senza alcuna indicazione certa dell’indirizzo dedicato alla ricezione degli atti di impugnazione (talvolta sono gli stessi addetti di Cancelleria a rendere informazioni discordanti, senza dimenticare gli innumerevoli e disomogenei protocolli sottoscritti in moltissime realtà).

Ebbene, se in una prima fase emergenziale il c.d. doppio binario (p.e.c. e p.s.t.) poteva risultare funzionale, a parere di chi scrive la definitiva transizione verso la digitalizzazione del processo penale non potrà prescindere dall’individuazione di un unico portale dedicato al deposito degli atti, analogamente a quanto è previsto per il processo civile.

Anche sul punto, dunque, si poteva certamente fare meglio, quantomeno nell’ottica di fornire maggiori certezze in relazione alle modalità di deposito degli atti da parte del difensore ed alla certa indicazione degli indirizzi pec da utilizzare a tal fine.

Il tutto, evidentemente, a garanzia dell’effettività del diritto di difesa del cittadino.

Ed in ultimo, sono certamente da censurare le disposizioni transitorie inerenti il mutamento del giudice nel corso del dibattimento.

Tali norme, invero, sono certamente da leggere in combinato disposto con le disposizioni transitorie in materia di videoregistrazioni le quali, all’articolo 94, prevedono che l’obbligo dell’audio-video registrazione del dibattimento slitti di sei mesi dall’entrata in vigore della Riforma.

Ebbene, anche su tale versante, pare che il legislatore abbia voluto avallare le patologie da cui sono afflitte strutturalmente le Aule dei Tribunali del nostro Paese, a scapito delle garanzie dell’imputato e dei principi di oralità e immediatezza che governano il processo penale e che esso stesso pareva aver voluto riportare in vita con la Riforma, dopo la tagliola che su di essi avevano operato le Sezioni Unite Bajrami.

L’articolo 93-bis, difatti, contenente le disposizioni transitorie in materia di mutamento del giudice nel corso del dibattimento, prevede che la disciplina di cui al nuovo articolo 495, comma 4-ter, ossia quella tale per cui può essere richiesta la rinnovazione dell’istruttoria laddove la prova dichiarativa non sia stata videoregistrata, non si applica quando è chiesta la rinnovazione dell’esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni in data anteriore al 1 gennaio 2023.

Tale norma, però, di fatto, pare dover rimanere priva di effetti per ulteriori sei mesi dall’entrata in vigore della Riforma, poiché il richiamato articolo 94 delle disposizioni transitorie posterga di sei mesi l’obbligo dell’audio-video registrazione del dibattimento, la cui operatività è inscindibilmente correlata alla possibilità di richiedere la rinnovazione dell’istruttoria in caso di mutamento del Giudice.

In sostanza, dunque, una prova dichiarativa assunta nel mese di gennaio 2023, in caso di mutamento del Giudice nel mese di maggio 2023, pur se assunta in assenza di audio-video registrazione, non potrà essere rinnovata dinanzi al nuovo giudicante poiché la normativa transitoria di cui all’articolo 93-bis dovrà evidentemente cedere il passo alla disposizione contenuta nell’articolo 94 delle medesime disposizioni di trapasso, lasciando di fatto lettera morta la possibilità di ottenere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per ulteriori sei mesi dall’entrata in vigore della Riforma Cartabia.

Dunque, non già tempus regit actum, ma l’implementazione tecnologica e strutturale degli Uffici Giudiziari, quella si, scandisce i tempi del nostro processo penale. Ahinoi.

La Riforma Cartabia, per concludere, si pone certamente obiettivi virtuosi, lodevoli e del tutto condivisibili, sebbene il mancato correlato implementamento di risorse umane ed economiche, per dare effettività e concretezza all’ambizioso efficientamento del processo penale, rischia di determinare un’attuazione della stessa foriera di prevalenti criticità in luogo degli auspicati benefici.

Se fossimo Professori a colloquio con i genitori (il legislatore), potremmo dire che la  Riforma è intelligente ma non si applica.

Dipartimento sulla Riforma del Processo Penale

Avv. Mario Aiezza

Avv. Elisa Davanzo

Avv. Jacopo Al Jundi

Avv. Salvatore Celso

Avv. Giuseppe Murone

Avv. Giuseppe Mandarino

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