Con la circolare DT56499 del 17.06.2022 il Dipartimento del Tesoro ha provveduto ad aggiornare le istruzioni operative in materia di irrogazione delle sanzioni destinate ai soggetti obbligati della normativa antiriciclaggio non sottoposti alla vigilanza delle autorità di vigilanza di settore e ritenuti inadempienti.
La circolare in commento sostituisce la precedente circolare DT54071, adottata in ottemperanza a quanto previsto dal d.lgs. n. 90/2017, di recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio, ed è anch’essa diretta agli uffici centrali e territoriali del Mef, quali organi competenti all’irrogazione delle sanzioni previste nei confronti dei soggetti richiamati dall’art. 65 del d.lgs. n. 231/07, tra i quali rientrano i professionisti.
OMESSA SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE
Tra le novità di rilievo, una particolare importanza riveste il tema dell’omessa segnalazione di operazioni sospette. Sul punto, l’impianto sanzionatorio previsto dal d.lgs. n. 231/2007 prevede due fattispecie tipiche:
- una fattispecie “base”, non connotata dalla presenza di ulteriori caratteristiche qualificanti della condotta materiale, per cui è prevista l’applicazione della sanzione pecuniaria nella misura di 3.000 euro;
- una fattispecie “qualificata” nella quale il legislatore individua, alternativamente o cumulativamente, ulteriori elementi tipizzati capaci di attribuire alla condotta carattere “grave”, “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo” e che possono determinare l’irrogazione di sanzioni che variano da 30.000 a 300.000 euro.
Con riguardo a tale ultima ipotesi, la circolare analizza i parametri normativi che caratterizzano la violazione “qualificata”.
Nello specifico, il carattere “ripetuto” delle violazioni deve essere desunto dall’esistenza di ulteriori contestazioni della medesima violazione e dalla circostanza che almeno una di esse sia già stata oggetto di sanzione. A tal fine si precisa che all’Autorità verbalizzante, nel corso dell’accertamento, spetta richiedere espressamente all’incolpato di riferire sull’eventuale esistenza di precedenti provvedimenti sanzionatori, notificatigli per la stessa violazione negli ultimi cinque anni, fermi restando i precedenti più risalenti che potranno essere riscontrati dall’Autorità irrogante; stabilire il grado di rilevanza da attribuire alle eventuali divergenze tra quanto emerso e le dichiarazioni dell’incolpato. Il carattere della ripetitività si riscontra anche in caso di più atti di contestazione a carico del medesimo soggetto obbligato, differenti per quanto concerne la fattispecie contestata ma riuniti in un solo procedimento o istruiti congiuntamente.
La violazione deve, invece, ritenersi “sistematica” quando, nell’ambito di uno o più atti di contestazione e a seguito di analisi svolta dall’autorità verbalizzante su di un numero sufficientemente elevato di singole operazioni, riconducibili a differenti operazioni o prestazioni professionali, non necessariamente ricollegabili allo stesso cliente o negozio, distinte sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, si rilevi l’omissione sanzionata dalla norma. Infatti, la sistematicità della violazione assume una configurazione tanto più evidente quanto più è ampio l’arco temporale lungo il quale si sviluppano le operazioni e le prestazioni esaminate e quanto più complessa e articolata la struttura organizzativa al cui interno le violazioni sono perpetrate.
A differenza della ripetitività e della sistematicità delle violazioni il carattere “plurimo” attiene alla singola contestazione elevata. Sulla base di quanto evidenziato, sono da intendersi plurime quelle violazioni che:
- anche afferendo ad una singola operatività, in cui si registrino più operazioni distribuite in un arco temporale anche esteso, presentino elementi di sospetto in base ai parametri normativi vigenti;
- riguardando anche una singola prestazione professionale, articolata in più operazioni oggettivamente distinte, diano luogo a differenti fattispecie autonome e per ciascuna delle quali siano presenti elementi di sospetto.
Il carattere “sistematico” delle violazioni si differenzia da quello “plurimo” sotto un profilo quantitativo/percentuale, poiché la rilevazione del carattere sistematico delle omissioni presuppone un modus operandi abituale o ampiamente prevalente del soggetto obbligato, che può essere escluso nel caso in cui l’incolpato dimostri di avere effettuato in passato segnalazioni di operazioni sospette.
Per quanto attiene alla “gravità” della violazione contestata, la circolare evidenzia come tale parametro vada graduato in relazione alla varietà della casistica e all’intensità con cui essa si manifesta, sulla base di criteri individuati dal legislatore, che fanno riferimento:
- all’intensità e al grado dell’elemento soggettivo, anche in riferimento all’ascrivibilità della violazione alla carenza, all’incompletezza e alla non adeguata diffusione di prassi operative e di procedure di controllo interno;
- al grado di collaborazione con le autorità di cui all’articolo 21, comma 2, lettera a);
- alla rilevanza e all’evidenza dei motivi del sospetto, anche avuto riguardo al valore dell’operazione e al grado della sua incoerenza rispetto alle caratteristiche del cliente e del relativo rapporto;
- alla reiterazione e diffusione dei comportamenti, anche in relazione alle dimensioni, alla complessità organizzativa e all’operatività del soggetto obbligato.
In riferimento al quantum da applicare nel caso in cui venga contestata una violazione qualificata, il testo prevede tre differenti intervalli di sanzione (compresi tra i 30.000 e i 300.000 euro) corrispondenti a differenti gradi di intensità della sanzione:
- 30.000 – 120.000;
- 120.000 – 210.000;
- 210.000 – 300.000.
Ogni intervallo è direttamente collegato al grado di intensità della violazione qualificata, la quale dipende dal numero e dalla tipologia dei parametri normativi individuati nel caso di specie, attribuendo maggiore rilievo al carattere “sistematico” e a quello “grave”.
Una volta identificato l’intervallo di riferimento per l’individuazione dell’importo della sanzione da irrogare, per stabilire l’entità della sanzione in concreto dovrà tenersi conto di alcuni “criteri per l’applicazione delle sanzioni” riguardanti:
- gravità e durata della violazione;
- grado di responsabilità della persona fisica o giuridica;
- capacità finanziaria della persona fisica o giuridica responsabile;
- entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate per effetto della violazione, se determinabili;
- entità del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione, se determinabile;
- livello di cooperazione con le autorità di cui all’art. 21, comma 2, lett. a) prestato dalla persona fisica o giuridica responsabile;
- adozione di adeguate procedure di valutazione e di mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, commisurate alla natura dell’attività svolta e alle dimensioni dei soggetti obbligati;
- precedenti violazioni delle disposizioni.
INOSSERVANZA DEGLI OBBLIGHI DI ADEGUATA VERIFICA
Anche per la violazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela, il legislatore individua due distinte fattispecie tipiche:
- fattispecie “base”: non connotata dalla presenza di ulteriori elementi qualificanti, per cui è elevata una sanzione pecuniaria di euro 2.000 che può, in ogni caso, essere ridotta in caso di violazioni ritenute di minore gravità;
- fattispecie “qualificata”: prevede la presenza, alternativa o cumulativa, dei medesimi elementi costitutivi previsti per l’omessa segnalazione di operazioni sospette, con l’applicazione di una sanzione compresa tra i 2.500 e i 50.000 euro.
Sui parametri da adottare in ordine all’accertamento della violazione “qualificata” degli obblighi di adeguata verifica della clientela valgono le medesimi considerazioni effettuate con riguardo all’omessa segnalazione di operazioni sospette.
Per quanto riguarda, in particolare, l’elemento della “gravità” della violazione, in riferimento alla “rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto” di cui all’art. 56 co. 2, la circolare precisa che tale criterio può assumere una duplice e alternativa valenza. In particolare si prevede che, nel caso in cui derivi, come conseguenza immediata e diretta della violazione delle disposizioni in materia di adeguata verifica, l’inosservanza dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta – risultando pertanto sanzionabile unicamente a tale diverso titolo – il criterio rileva ai fini della determinazione della sanzione nell’ambito dell’intervallo edittale previsto (30.000-300.000 euro), secondo il procedimento precedentemente illustrato. Allo stesso tempo, però, si stabilisce che la rilevanza e l’evidenza dei motivi del sospetto concorrono a delineare anche la violazione di cui all’art. 56, comma 2, quando quest’ultima risulti sanzionabile solo a tale titolo, nella misura in cui si va a incidere sulla stessa sussistenza dell’obbligo di adeguata verifica o sulle modalità di adempimento del medesimo in relazione al livello di rischio.
Anche nell’ipotesi di fattispecie “qualificata” di violazione degli obblighi di adeguata verifica, ai fini della determinazione della sanzione da irrogare nell’ambito dell’intervallo edittale compreso tra i 2.500 e i 50.000 euro, si procede alla suddivisione dello stesso in 3 sub-intervalli, corrispondenti a 3 gradi crescenti di intensità della violazione:
- 2.500 – 15.000;
- 15.000 – 30.000;
- 30.000 – 50.000:
Al contrario di quanto stabilito con riguardo alle ipotesi di violazione dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta, nel caso di violazione degli obblighi di adeguata verifica i “sub-intervalli” individuati non hanno pari ampiezza, ritenendosi opportuno stabilire intervalli di ampiezza crescente in ragione della maggiore frequenza e intensità della gravità della violazione, del disvalore connesso all’adozione ripetuta di pratiche illegali e degli effetti negativi prodotti sull’effettività dei presidi di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo .
Per quanto concerne la valutazione, il “peso” e l’applicazione dei parametri legislativi che individuano la fattispecie “qualificata” ai fini dell’individuazione del “sub-intervallo” in cui la sanzione va situata nonché la successiva determinazione della sanzione all’interno del “sub-intervallo” individuato, valgono le stesse considerazioni formulate con riguardo al procedimento di determinazione della sanzione per la violazione dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta. È, però, opportuno precisare che i criteri di cui all’art. 67, comma 1, lettere d) ed e) (entità del vantaggio ottenuto, delle perdite evitate e del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione, nella misura in cui siano determinabili) rilevano ai fini della determinazione della sanzione solo nella misura in cui l’omessa adeguata verifica risulti “assorbita” dall’omessa segnalazione di operazioni sospette.
INOSSERVANZA DEGLI OBBLIGHI DI CONSERVAZIONE
Anche in merito all’inosservanza degli obblighi di conservazione il legislatore individua due fattispecie distinte:
- la fattispecie “base” prevista dall’art. 57, comma 1, a fronte della quale la sanzione pecuniaria è di 2.000 euro, con la possibilità di riduzione della stessa nel caso di violazioni di minore gravità;
- la fattispecie “qualificata” prevista dall’art. 57, comma 2, sussistente nel caso di presenza, alternativa o cumulativa, degli stessi elementi costitutivi previsti per l’omessa segnalazione di operazioni sospette, a fronte della quale il legislatore individua una sanzione da 2.500 a 50.000 euro.
Sul punto la circolare precisa che, essendo una nuova fattispecie sanzionatoria le violazioni avranno ad oggetto soltanto le condotte manifestate successivamente all’entrata in vigore della novella. Si evidenzia, inoltre, come anche in questo caso, per i criteri adottati circa l’individuazione della fattispecie “qualificata”, riguardanti il carattere “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo” e “grave” delle violazioni, valgono le stesse considerazioni effettuate con riguardo all’ omessa segnalazione di operazioni sospette.
Anche in tale ipotesi, inoltre, per poter determinare la sanzione da irrogare (all’interno dell’intervallo edittale 2.500-50.000 euro) si procede alla suddivisione in “3 gradi” di intensità della violazione:
- 2.500 – 15.000;
- 15.000 – 30.000;
- 30.000 – 50.000.
CUMULO GIURIDICO
La circolare specifica che, ai sensi dell’art. 67, comma 3, del d.lgs. n. 231/07, i meccanismi del cumulo giuridico si pongono in rapporto di specialità con le singole disposizioni sanzionatore le quali, nel caso di fattispecie “qualificate” sono caratterizzate, nella loro materialità, da condotte plurime e reiterate.
Pertanto, in applicazione del principio di specialità, i succitati meccanismi operano come criteri residuali ai fini dell’individuazione della fattispecie applicabile. Analogamente, i meccanismi richiamati dall’art. 67, comma 3, del cumulo giuridico verranno presi in esame nei casi in cui le violazioni degli obblighi di adeguata verifica e di conservazione siano avvinti da un nesso di continuazione, con un obiettivo differente da quello di effettuare una segnalazione di operazione sospetta e, pertanto, non riconducibile all’ambito di applicazione di cui all’art 58, comma 5.
Resta inteso che per individuare la fattispecie sanzionata più gravemente, cui applicare l’aumento sanzionatorio derivante dal cumulo giuridico, si intendono integralmente richiamate le argomentazioni in tema di favor rei di cui all’articolo 69, co. 1.
FAVOR REI
Il principio penalistico del favor rei e della successione delle leggi nel tempo viene introdotto, in ambito antiriciclaggio, dall’art. 69 del d.lgs. 231/07.
In particolare, il primo periodo del novellato articolo 69, comma 1, riproduce l’istituto della abolitio criminis, in base al quale nessuno può essere sanzionato per una condotta che, pur essendo illecita in base alle disposizioni in vigore al momento del fatto, non è più prevista come tale dalla legge in vigore al momento dell’irrogazione della sanzione. Per poter applicare tale disposizione occorre, pertanto, verificare, nel caso concreto se la condotta contestata come illecita, sulla base della versione antecedente del d.lgs. n. 231/2007, non risulti più sanzionata dal testo novellato. In tali ipotesi, l’ufficio competente all’irrogazione della sanzione dovrà emanare un provvedimento di archiviazione, poiché il fatto contestato non è più previsto come violazione amministrativa dalle disposizioni in vigore.
Per effetto di tali modifiche normative, a far data dall’entrata in vigore del d.lgs. 90/2017, si verifica l’abolizione di diversi illeciti amministrativi non più previsti come tali dalla norma con conseguente archiviazione dei procedimenti pendenti, con particolare riferimento a:
- illeciti per violazione degli artt. 37, 38, e 39 del d.lgs. 231/2007 (omessa/irregolare istituzione/tenuta dell’Archivio Unico Informatico e del Registro della clientela, sanzionati dagli artt. 57, commi 2 e 3), non essendo più previsto l’obbligo di istituzione dei suddetti registri;
- illeciti per violazione degli obblighi di registrazione di cui all’art. 36 del previgente d.lgs. n. 231 del 2007, non essendo più previsto l’obbligo di istituzione dei suddetti registri;
- illeciti per violazione dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 36, comma 4 del previgente d.lgs. n. 231 del 2007, già penalmente sanzionati dall’art. 55, comma 7, poi depenalizzati dall’art. 1 del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 e non più previsti come illeciti sanzionati dal novellato d.lgs. n. 231/07.
Il secondo periodo dell’art. 69 co. 1, introduce, poi, il principio del favor rei, nel caso in cui si susseguano nel tempo differenti disposizioni sanzionatorie. Per poter applicare tale istituto è, cioè, necessario che una medesima condotta sia prevista come illecita e sia sanzionata dalla legge in vigore al momento del fatto e da quelle successive, ma con un regime sanzionatorio differente. E’, inoltre, necessario che almeno una delle disposizioni normative preveda una sanzione di natura amministrativa, che prevarrà rispetto a quella di natura penale eventualmente stabilita dalle altre norme sia nel caso in cui la sanzione penale sia prevista dalla disciplina vigente al momento del fatto, sia nel caso in cui sia prevista da disposizioni successive.
Per quanto concerne, infine, i casi di mera depenalizzazione di fattispecie incriminatrici, si applicherà la disciplina prevista dall’articolo 2, comma 2, del codice penale, devoluta alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria.
PROCEDIMENTO SANZIONATORIO
L’art. 69, comma 2, del novellato d.lgs. n. 231/07 prevede che il procedimento sanzionatorio debba concludersi nel termine di due anni, decorrente dalla ricezione della contestazione notificata all’amministrazione procedente, da effettuarsi esclusivamente tramite posta elettronica certificata. È, inoltre, stabilito che il termine possa essere prorogato di ulteriori sei mesi nel caso di formale richiesta di audizione nel corso del procedimento da parte dell’interessato e, a tali effetti, il procedimento “si considera concluso con l’adozione del decreto che dispone in ordine alla sanzione”.
Conseguentemente, qualora il termine decorra senza che sia stato emanato il provvedimento finale, il procedimento sanzionatorio si estingue e non può essere ulteriormente proseguito. Si precisa, poi, che con riguardo agli effetti della tempestiva notifica agli interessati del provvedimento finale, resta fermo quanto stabilito dall’art. 28, commi 1 e 2 della legge n. 689/1981.
Si stabilisce, inoltre, che i procedimenti pendenti al 4 luglio 2017 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 90/2017) il cui termine di due anni ovvero di due anni e sei mesi nel caso in cui sia stata richiesta l’audizione risulti spirato, devono essere dichiarati estinti mediante comunicazione formale che l’amministrazione procedente deve dare agli interessati. Per i procedimenti pendenti, il cui termine non risulti invece spirato, l’art. 69 comma 3 stabilisce una proroga di ulteriori dodici mesi rispetto ai due anni (ovvero due anni e sei mesi in caso di richiesta di audizione) ordinariamente previsti.
FAVOR REI
Il principio penalistico del favor rei e della successione delle leggi nel tempo viene introdotto, in ambito antiriciclaggio, dall’art. 69 del d.lgs. 231/07.
In particolare, il primo periodo del novellato articolo 69, comma 1, riproduce l’istituto della abolitio criminis, in base al quale nessuno può essere sanzionato per una condotta che, pur essendo illecita in base alle disposizioni in vigore al momento del fatto, non è più prevista come tale dalla legge in vigore al momento dell’irrogazione della sanzione. Per poter applicare tale disposizione occorre, pertanto, verificare, nel caso concreto se la condotta contestata come illecita, sulla base della versione antecedente del d.lgs. n. 231/2007, non risulti più sanzionata dal testo novellato. In tali ipotesi, l’ufficio competente all’irrogazione della sanzione dovrà emanare un provvedimento di archiviazione, poiché il fatto contestato non è più previsto come violazione amministrativa dalle disposizioni in vigore.
Per effetto di tali modifiche normative, a far data dall’entrata in vigore del d.lgs. 90/2017, si verifica l’abolizione di diversi illeciti amministrativi non più previsti come tali dalla norma con conseguente archiviazione dei procedimenti pendenti, con particolare riferimento a:
- illeciti per violazione degli artt. 37, 38, e 39 del d.lgs. 231/2007 (omessa/irregolare istituzione/tenuta dell’Archivio Unico Informatico e del Registro della clientela, sanzionati dagli artt. 57, commi 2 e 3), non essendo più previsto l’obbligo di istituzione dei suddetti registri;
- illeciti per violazione degli obblighi di registrazione di cui all’art. 36 del previgente d.lgs. n. 231 del 2007, non essendo più previsto l’obbligo di istituzione dei suddetti registri;
- illeciti per violazione dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 36, comma 4 del previgente d.lgs. n. 231 del 2007, già penalmente sanzionati dall’art. 55, comma 7, poi depenalizzati dall’art. 1 del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 e non più previsti come illeciti sanzionati dal novellato d.lgs. n. 231/07.
Il secondo periodo dell’art. 69 co. 1, introduce, poi, il principio del favor rei, nel caso in cui si susseguano nel tempo differenti disposizioni sanzionatorie. Per poter applicare tale istituto è, cioè, necessario che una medesima condotta sia prevista come illecita e sia sanzionata dalla legge in vigore al momento del fatto e da quelle successive, ma con un regime sanzionatorio differente. E’, inoltre, necessario che almeno una delle disposizioni normative preveda una sanzione di natura amministrativa, che prevarrà rispetto a quella di natura penale eventualmente stabilita dalle altre norme sia nel caso in cui la sanzione penale sia prevista dalla disciplina vigente al momento del fatto, sia nel caso in cui sia prevista da disposizioni successive.
Per quanto concerne, infine, i casi di mera depenalizzazione di fattispecie incriminatrici, si applicherà la disciplina prevista dall’articolo 2, comma 2, del codice penale, devoluta alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria.
Link al testo integrale del documento con schemi Circolare_DT56499_17_05_2022
Contributo a cura dell’avv. Antonio Valentini, Coordinatore Dipartimento Nazionale AIGA Antiriciclaggio e 231
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