GLI AVVOCATI GUADAGNANO SUI PROCESSI LUNGHI

  • Durante la puntata di Porta a Porta del 24 ottobre 2012, sono state rilasciate alcune dichiarazioni sulla pronuncia di anticostituzionalità della media-conciliazione e sui presunti vantaggi che questa apporterebbe alla “lobby” degli avvocati.
    Si è detto, in particolare, che senza media-conciliazione i processi durano di più e, perciò, gli avvocati guadagnano di più: questa notizia è falsa, non foss’altro che per l’ovvia ragione che al ritardo nel compimento dell’opera consegue (sempre) il ritardo nel pagamento del saldo dovuto al professionista.
    Affermazioni del genere non sono soltanto errate, ma anche e soprattutto frutto di un gigantesco equivoco.
    E’ vero che gli avvocati hanno combattuto per portare all’attenzione della Consulta i motivi di anticostituzionalità della legge sulla conciliazione obbligatoria ed è vero che, adesso che la Corte ha spazzato via quell’istituto, appunto ritenendolo (anche se ancora non sappiamo come e perchè) anticostituzionale, gli avvocati sentono di aver vinto.
    Ma non ci sono trofei d’oro; nessun vantaggio economico per la nostra “lobby” (anche perchè a noi – come a voi del resto, qualunque lavoro svolgiate – vengono pagate delle attività, non il tempo che impieghiamo per svolgerle).
    Si tratta di una vittoria (solo ideale) che costituisce, tuttavia, lo scopo stesso della nostra esistenza professionale: un avvocato altro non deve fare se non interpretare le istanze di Giustizia dei cittadini per interessarne le Corti in un linguaggio per esse comprensibile (avete presente: “nei modi e termini di rito”). Spazzare via un istituto anticostituzionale costituisce, allora, già di per sè, espressione massima di questo compito. Se poi quell’istituto ha ad oggetto proprio la limitazione, raggiunta mercè l’introduzione (anticostituzionale) di costosi filtri, all’accesso alla Giustizia da parte dei cittadini, beh, allora gli avvocati che riescano ad ottenerne l’abolizione, ritengono davvero di aver svolto la più alta delle funzioni loro rimesse dalla Repubblica.
    E’ opportuno premettere a quanto si dirà che chi scrive riconosce alla media-conciliazione la capacità di rivelarsi utile in determinate occasioni (relative, per lo più, a casi in cui si renda necessario sopperire a carenze culturali e/o deontologiche dei loro difensori); per raggiungere tale utilità, tuttavia, da un lato, è indispensabile epurare l’istituto degli aspetti di incostituzionalità che lo inficiano e, dall’altro, va definitivamente superato il tendenzioso equivoco per cui sarebbe in grado, per la forza deflattiva che lo caratterizza, di ridurre considerevolmente numero e durata dei processi italiani.
    Ma il dibattito nazionale sulla media-conciliazione non si articola su questi temi.
    Un dubbio, allora: perchè non si cerca, insieme e non contro gli avvocati (e i magistrati e i cancellieri e, in generale, insieme con tutti coloro i quali conoscono davvero il sistema Giustizia), di adeguare quest’ultimo alle esigenze del Paese che esso è potenzialmente in grado di fronteggiare, previo, ovviamente, il superamento dei vizi di incostituzionalità che lo inficiano?
    No, non si cerca confronto su questi temi.
    Nessun riflettore dell’opinione pubblica sul fatto che, dopo quasi cinquant’anni di estenuanti tentativi di arginare il numero spropositato di processi, la loro lunghezza eccessiva (ultimamente, sbandierata addirittura come una delle prime cause della carenza di investimenti esteri in tutta Italia e, suo tramite, della crisi del Paese), di adeguare il numero di magistrati e cancellieri a quello sempre crescente di giudizi, dopo innumerevoli riti alternativi, micro riforme e pseudo riforme, ci sia stato proposto come panacea di tutti i mali un mero disincentivo all’accesso alla Giustizia; per di più introdotto da una legge scritta male.
    Nulla di strano, insomma, che il legislatore, per dissolvere questi problemi, abbia ritenuto sufficiente imporre ai cittadini di pagare una “tassa” ad un privato cui non sono richieste competenze giuridiche, affinchè proponga ai litiganti di trovare un accordo.
    Ci vogliono quattro mesi; trascorso questo tempo senza che i due si accordino, allora la causa si può fare (aggiungiamo, per inciso, una “chicca” tragicomica: nello stesso 2010, il nostro legislatore di idea meravigliosa per arginare i problemi della Giustizia ne ha avuta anche un’altra: abolire il tentativo di conciliazione obbligatorio sino ad allora, da decenni posto come condizione di procedibilità nel rito del lavoro, evidentemente per gli insoddisfacenti risultati suo tramite ottenuti).
    Questa, ad ogni modo, è l’idea.
    E non si pubblicizza che <<è necessario pagare una tassa ad un privato>>, ma che <<costa pochissimo!!>>; non si calca sulla mancata previsione di competenze tecnico-giuridiche in capo al mediatore, ma si urla ai quattro venti quale grande occasione si abbia nell’essere giudicati da qualcuno che è <<svincolato dagli stretti canoni giuridici, uno come voi>>.
    Stesso discorso vale per i quattro mesi che si interpongono tra il cittadino e la possibilità di adire la Giustizia, quella vera, quella amministrata da un Giudice dello Stato (per la quale si dovrà comunque pagare un’altra tassa).
    Anche quì viene propagandato un messaggio equivoco: <<sono solo quattro mesi, molto meno della durata di un processo>> (meraviglioso esempio della politica del “pensare positivo!”; perchè mai focalizzare l’attenzione sull’ipotesi in cui la conciliazione non riesca e quei quattro mesi si aggiungano, invece di sostituirsi alla durata di un processo?).
    Ed ecco fatto: habemus slogan!
    Ma dentro rimane la stessa sostanza: rimane che “pochissimo” è comunque e sempre di più che niente; che un giudice è comunque e sempre più adatto di un quisque de populo (di chiunque, cioè, indipendentemente dalla propria formazione, abbia dedicato una manciata di ore a diventare mediatore) a tutelare i nostri diritti; rimane che quattro mesi tra un cittadino e la possibilità di adire (non di ottenere) la Giustizia sono comunque e sempre troppi.
    E questi sono i problemi “facili”, quelli, per così dire, concreti.
    Poi ci sono quelli, diciamo così, di principio: è giusto consentire ad organismi privati di limitare i nostri diritti? E’ giusto che lo Stato dismetta (parte di) uno dei suoi tre poteri fondanti (quello, appunto, di amministrare la Giustizia), per appaltarlo ad organismi privati che, almeno in linea teorica, dovrebbero essere più facilmente suscettibili di distrazione dalla “retta via”? Ed è giusto sdoganare il concetto per cui l’essersi comportati secondo legge non è più garanzia di certezza di tutela dei propri diritti (auspicio che resta inevitabilmente messo da parte, nel momento in cui si affida il compito di dirimere le liti a chi non ha cognizione giuridica qualificata?)
    E poi, noi del campo, nutriamo anche alcuni dubbi squisitamente giuridici: che forza coercitiva ha l’accordo eventualmente raggiunto dinanzi al mediatore? Quali conseguenze subirà chi, dopo quattro mesi, accetterà un accordo in sede conciliativa per poi, però, non ottemperarvi (beffando, così, il suo contraddittore)?. Come mai, diversamente da quanto garantisce la Giustizia “pubblica”, la media-conciliazione non sconta alcun vincolo territoriale (cioè:Tizio abita a Milano, stipula un contratto a Milano con un altro milanese; dinanzi alle richieste di adempimento e/o risoluzione e risarcimento del danno avanzate dal milanese insoddisfatto, Tizio invita il milanese insoddisfatto a cercare un accordo dinanzi ad un organismo di conciliazione…..di Enna!).
    Noi crediamo che solo chi conosce i diritti dei consociati di uno Stato democratico ed ha adisposizione i mezzi per trasfonderli in concrete istanze di Giustizia, capisca appieno i profili di pericolo e di incostituzionalità che si celano dietro certi provvedimenti legislativi degli ultimi tempi; crediamo questo e l’abbiamo detto alla Corte Costituzionale. L’abbiamo fatto per tutti, per mantenere il sia pur precario equilibrio democratico in cui ancora viviamo, specie a tutela di chi non conosce davvero la Giustizia, i suoi meccanismi interni, con i suoi intoppi e le sue virtù, eppure ne ha un endemico bisogno.
    L’abbiamo fatto perchè ci sentiamo ancora baluardo dei principi di Giustizia e Legalità che informano la Costituzione italiana.
    La Consulta ci ha dato ragione ed ha eliminato un provvedimento fatto male, lesivo dei diritti di tutti noi, cittadini di questo Stato: eppure il messaggio che lancia la televisione pubblica non è questo, ma un fantomatico vantaggio di “casta”.
    Meccanismi di pensiero fuorvianti e tendenziosi come questo contribuiscono, a nostro avviso, ad incrinare la situazione italiana: perchè continuiamo a consentirlo?

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